“Ogni frammento di spazio antropizzato può essere considerato come un palinsesto su cui si incidono e si sovrappongono le grandi visioni del mondo. Bisogna favorire una presa di coscienza superiore, definite dall’interazione degli esseri viventi ma anche dei loro sistemi culturali: un sistema eco-etnologico plurale e unitario, allo stesso tempo. Un grande giardino, un pianeta piccolo. Il giardino planetario deriva dalla combinazione tra l’osservazione nomade e un’ipotesi: si può considerare la terra come un unico giardino? E le si possono applicare i precetti del giardino in movimento? Il giardino planetario è un principio, e il suo giardiniere è l’umanità intera?” (Gilles Clément)
Come spazio simbolico destinato al colloquio tra uomo e natura, il giardino costituisce un tema progettuale centrale e innovativo, e diventa elemento di riferimento nel corrente dibattito sulle modalità degli interventi di riqualificazione dei paesaggi urbani e periurbani. Nella filosofia di Gilles Clément, il giardino planetario “propone una relazione tra uomo e natura in cui l’attore privilegiato – il giardiniere, cioè il cittadino planetario – agisce localmente nel nome e nella coscienza dell’intero pianeta”. Osservare i comportamenti che si svolgono dentro questi spazi, e gli esseri che vi trovano cittadinanza, significa per l’uomo assumersi nuove responsabilità nei confronti della natura. Questa nuova responsabilità si coniuga in Clément con il suo fondamentale concetto: “Il Giardino planetario”, che altro non è se non una rappresentazione del pianeta come un “giardino”.
Tutto il pianeta è giardino: con questo enunciato si fa appello ad un principio di responsabilità individuale, fondata su una comune coscienza ecologica, che dovrebbe orientare ogni azione di trasformazione. Ritornare al giardino, come categoria ideale, porta a riconoscere il valore del “coltivare il pensiero sulla natura”, ma anche la necessità, intrinseca alla condizione umana, di costruire spazi ecologici in cui vivere.
Foto di Giuliana Conte
“I giardini in movimento di San Potito” è un ciclo di iniziative e laboratori diffusi realizzati nell’ambito del “Fate Festival 2015”. Con un chiaro riferimento al libro “Il giardino in movimento” di Gilles Clément, paesaggista francese, è stato pensato come una trama di micro-eventi e interventi site-specific disseminati in tutto il paese e durante tutta la durata del Festival.
Il Fate Festival ha da sempre come principale obiettivo quello di dare un respiro internazionale al paese, di spezzare la routine quotidiana con qualcosa di nuovo e inusuale, utilizzando diverse arti, tecniche e linguaggi. Per questo motivo il Festival non ha una formula precisa e sempre uguale, ma si rinnova, ogni anno, in base alle necessità. Nel 2015 in collaborazione con l’associazione Ru.De.Ri i promotori del Festival ha deciso di utilizzare l’arte pubblica, il cinema e i giardini, come elementi centrali per promuovere la partecipazione attiva del territorio, degli abitanti, e del pubblico che da spettatore è invitato a diventare protagonista.
Ru.De.Ri, oltre a rendere in qualche modo omaggio a Gilles Clément, ha così deciso di realizzare un laboratorio diffuso in un paese come San Potito Sannitico per “agire la sostenibilità” sul territorio, prendendo spunto dalle peculiarità naturali e culturali del contesto locale; e ha scelto i giardini per il suo intervento su San Potito, in quanto patrimonio condiviso di una comunità che da sempre esprime la sua cura su questi spazi. Attraverso di essi, gli abitanti di San Potito offrono forme e modi altri di ri-abitare il territorio. La poetica del giardino, è infatti una poetica in divenire, ossia “un formare come fare (poieìn) …che, mentre fa inventa il modo di fare”, un fare che re-inventa il mondo. “Un giardino non è né definitivo, né effimero, è provvisorio” (J. L. Brisson).
Attraverso l’intervento su diversi giardini (esistenti e potenziali), Ru.De.Ri ha invitato la comunità locale e il pubblico del Festival a rivedere ed espandere la propria percezione, tanto dei luoghi noti – come ad esempio i giardini delle ville nobili o quelli di alcuni abitanti – che di molti luoghi meno noti, se non dimenticati, ad esempio il giardino Francomacaro. La serie di micro-eventi, laboratori ed esplorazioni, si è configurata come un’azione di ricucitura e di trasformazione di questi spazi in una rete di giardini accessibile al pubblico. Dimostrando che giardini privati e pubblici ma anche spazi vuoti tra le costruzioni, inospitali cortili interni, ruderi impraticabili e abbandonati e dimesse superfici erbose possono trasformarsi, con il contributo degli abitanti del paese ma anche di quanti lo abitano temporaneamente.
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